(pubblicato su SCI n.324 – gennaio 2016 / foto: Pierre Augier – video: Etienne Morel).
Non ricordo quale sia stata la prima volta che ho sentito parlare di Kyrgyzstan (o Kirghizistan). Il nome suona familiare ma sfuggente. Pronunciarlo è un po’ come incrociare per strada gli occhi di una sconosciuta affascinante che ti sembra di aver già incontrato, ma che non sapresti dire dove e come. E scatta il desiderio di saperne di più.
Intervistare gli amici di Gear 4 Guides e di Faction Skis sulla bella avventura che li ha portati a sciare da quelle parti è stata l’occasione di scrutare più a fondo negli occhi della sconosciuta e di potervi raccontare quasi in prima persona un viaggio “raro”. Un viaggio semplice e significativo, fatto di scambi, di sci e di scoperta dello spirito e dell’indole di una terra che nei prossimi anni potrebbe facilmente diventare una piccola Mecca per gli amanti del backcountry.
Una cartina geografica tutta solcata da rilevi più o meno imponenti colloca il Kyrgyzstan nel cuore dell’Asia centrale, tra la Cina a sud-est, il Kazakistan a nord, l’Uzbekistan a ovest e il Tagikistan a sud.
Dall’aereo il Kyrgyzstan vi accoglie con una distesa sconfinata di montagne ammantate di neve, pronte a confermare a chi ama il bianco di aver scelto un’ottima meta.
Il “nostro” viaggio nasce dalla collaborazione tra la ONG Gear 4 Guides, che promuove scambi di conoscenze e attrezzature per supportare il turismo invernale in paesi in via di sviluppo, e il brand Faction, nato a Verbier nel 2006 dalla passione di un gruppo di ragazzi e diventato un nome importante nel panorama freeride con la produzione di sci e indumenti curati nel design e nella qualità. L’idea è sia di condividere un’esperienza con le guide e gli abitanti locali, portando materiali in regalo e aiutandoli nella formazione tecnica su freeride e sicurezza, sia solcare le nevi e documentare le possibilità sciistiche del luogo.
L’atteraggio in Kyrgyzstan e la comunità di Arslanbob
Si arriva nella capitale Bishkek, dove si può atterrare partendo da Mosca o da Istanbul. È qui che la truppa si compatta, ne fanno parte Olaf Sueters responsabile di Gear 4 Guides, Arnaud Rougier e Laurent Gauthier atleti professionisti e testimonial del marchio Faction, Pierre Auger fotografo, Etienne Merel filmmaker e Dorian Labaeye guida alpina.
Un breve volo interno verso l’aeroporto di Osh e poi ben 4 ore in minibus per fare 150 km e raggiungere la prima meta: il villaggio di Arslanbob.
È proprio il tragitto in minibus che proietta nella realtà rurale delle montagne del Kyrgyzstan.
A bordo strada si succedono sguardi intensi e curiosi, mani che salutano e sorrisi. Mucche e cavalli occupano le corsie stradali con disinvoltura. Un uomo viaggia in piedi sul paraurti di un’auto che ci precede. Traffico e velocità cui siamo abituati sono concetti lontani.
«Sarebbe stato bello attraversare tutto il Paese così – racconta Olaf – ma le strade sono davvero poco agevoli: il tragitto dalla capitale ad Arslanbob avrebbe richiesto più di 15 ore».
Arslanbob risale all’XI secolo, si trova a sud est della capitale non lontano dal confine con l’Uzbekistan, a 1600 m di altitudine e ai piedi dei monti Babash-Ata la cui vetta più alta raggiunge i 4427 m. I suoi abitanti, per lo più uzbechi, sono straordinariamente ospitali.
Ad accogliere la spedizione Hayat Tarikov, guida locale e coordinatore del Community Based Tourism (CBT) nel villaggio. La sua passione e il suo sorriso non sono cambiati – dice Olaf – da quando l’ha conosciuto cinque anni prima, e sono stati un forte incentivo a tornare.
«In questi anni – racconta Hayat – si sta scoprendo la vocazione invernale del Kyrgyzstan, la cui superficie è coperta per il 94% da montagne. Attualmente esistono 15 gruppi di CBT e tutti in regioni simili alla nostra: hanno l’obiettivo di sviluppare un turismo rurale ed ecologico. Come turisti si viene ospitati nelle case degli abitanti, si viene portati sul territorio dalle guide locali (anche con l’ausilio dei cavalli), si organizzano pranzi in montagna, ecc… l’idea è di condividere e distribuire il più possibile agli abitanti del luogo i proventi del turismo».
Nelle sue parole si respira l’entusiasmo di chi cerca di creare nuove opportunità di lavoro e di vita, il tutto con pochissime risorse a disposizione e in un Paese dove il salario medio mensile si aggira intorno ai 104 dollari pro capite.
«Nel 2006 abbiamo deciso di aprirci al turismo invernale e per la prima volta abbiamo avuto come ospiti due sciatori. Nel 2014 ne sono passati 70. Negli anni a venire ci aspettiamo che il numero aumenti vista l’attenzione che stiamo suscitando e il notevole numero di articoli pubblicati sulle riviste di tutto il mondo». Hayat sa il fatto suo, è simpatico e determinato.
Bastano poche ore insieme e la sensazione è quella di essere parte della vita di Arlsanbob.
Dal Buzkashi al freestyle park
Veniamo invitati a un evento straordinario, una partita di Buzkashi: 200 cavalli con relativi cavalieri divisi in due squadre che si contendono una carcassa di capra con l’obiettivo di portarla “a meta”. Sport crudo e duro, uno spettacolo impressionante e molto coinvolgente.
Di sera dopo una cena servita secondo tradizione, al posto del caffè ci attende – come già è stato al mattino appena arrivati – un bicchiere di vodka.
Si fanno programmi per i giorni a venire. Il meteo purtroppo non è favorevole: nebbia fitta e umidità elevate. Anche le condizioni della neve non sono le migliori. Niente big mountains. Peccato davvero perché pare non si contino le linee bellissime da sciare nei dintorni. Decidiamo di puntare sulla formazione, del resto è questo l’obiettivo primo di questa tappa del viaggio. Abbiamo con noi 700 kg di materiale da regalare ai locali: sono sci, giacche, guanti, artva, sonde, pale, caschi… sia nuovi che usati, tutto il possibile purché in buone condizioni per essere utilizzato.
Si allestisce un piccolo frestyle park e si prepara un percorso a slalom tra gli alberi di noce.
La magia di Arslanbob è infatti legata, tra le altre cose, alla presenza della foresta di noci più grande del mondo (60000 ettari) da cui si raccolgono ogni anno 1500 tonnellate di frutti, che sono un’importante fonte di sostentamento per la comunità.
Per raggiungere l’area sci predisposta è necessaria un’ora e mezza di cammino nel bosco. Anche i bambini salgono sorridendo, senza mai un lamento. Poi sci ai piedi e via. C’è chi fa curve incerte a spazzaneve, chi si diletta nei primi salti, chi ha già acquisito un po’ più di sicurezza e prova qualche trick. Arnaud e Laurent danno indicazioni e correggono gli errori.
Ci si diverte un sacco, tutti.
Con le guide si osserva e si studia la struttura degli strati della neve, si parla di sicurezza, ci si esercita nella ricerca con l’artva e si spiegano le tecniche di primo soccorso. Poi si mangia insieme su un tavolo fatto di neve.
Ogni giorno quando partiamo al mattino per il nostro park nuovi volti sorridenti si uniscono al gruppo, il livello tecnico sale e la sciata di tutti si fa più fluida.
Per Arnaud, e non solo, queste giornate con i bambini e l’entusiasmo sul campo di Hayat, restano indelebili come l’esperienza più forte e bella del viaggio.
Verso le montagne di Tien Shan e il villaggio delle yurt
La settimana vola ed è tempo di partire verso il secondo obiettivo: il villaggio di yurt di 40tribesbackcountry.com nelle montagne di Tien Shan a circa 1000 km di distanza da Arslanbob, non lontano dal confine con la Cina.
Si vola indietro a Bishkek e dalla capitale in autobus (circa 6 ore) si raggiunge Karakol e poi Ichke Jergez.
Un susseguirsi di paesaggi straordinari e un po’ lunari. Pochissima vegetazione, ampie valli e cime innevate costeggiano il grande lago alpino salato Issyk Ysykköl lungo i suoi 182 km. A chiudere l’orizzonte a sud est le pendici dell’esteso e rinomato massiccio di Tien Shan (Monti Celesti), che si innalza fino ai 7439 m del Jengish Chokusu (Pic Pobeda), una delle vette che bisogna conquistare per ottenere il più alto riconoscimento dell’alpinismo sovietico lo Snow Leopard. Tra l’altro proprio pochi mesi fa l’amico Carlalberto “Cala” Cimenti è stato il primo italiano a ottenere la prestigiosa onorificenza, sciando in discesa ogni tratto possibile.
Da Ichke Jergez si prosegue a cavallo per raggiungere il campo base delle yurt a 2600 m d’altezza. La yurt (o iurta) è la tipica abitazione mobile dei popoli nomadi dell’Asia.
L’accoglienza è splendida e prevede il solito bicchiere di vodka.
Il panorama da quassù è mozzafiato. Intorno valloni intonsi e meravigliosi. Qualche versante segnato da slavine invita a stare molto in guardia. Anche perché qui si è davvero isolati e i soccorsi nella migliore delle ipotesi arrivano in 2 ore e mezza, senza pensare a quanto disti il più vicino ospedale di buon livello. Meglio alzare i livelli di guardia, testare il terreno e capirlo su pendenze non estreme, alla ricerca di linee di puro piacere.
La neve qui è unica. Ptor Spricenieks, esperta guida canadese di 40tribes, sostiene sia in assoluto la migliore che abbia mai provato. Wow the pow!
Ogni giorno il divertimento è massimo. Le curve si fanno man mano più sicure e veloci. Si salta tutto il saltabile e si traccia tutto il tracciabile. Siamo i soli in queste valli!
Quando la luce cala si ritorna al campo. Ci si rifugia nelle yurt. Stufa a legna accesa al centro e tappeti sontuosi a terra. Si appendono i vestiti ad asciugare. Poi ci si rincuora con una birra e una bella partita a dadi (yathzee) aspettando la cena.
La vita della yurt diventa ben presto molto confortevole ed è davvero magico entrare nei suoi ritmi e condividerla.
L’ultimo rito per salutare il villaggio inizia con la pala e finisce con il salto della yurt.
Qualche consiglio finale
In sintesi merita davvero scrutare da più vicino gli occhi di questa sconosciuta.
Per farlo e avventurarsi sulle nevi del Kyrgyzstan è sufficiente qualche cautela.
Primo, è auspicabile un buon livello tecnico ed è indispensabile conoscenza e padronanza delle tecniche di autosoccorso in valanga.
Secondo, mettersi in contatto con una guida, ricordando che qui non esiste un percorso standard di formazione alla montagna come quello europeo. Motivo per cui le guide locali spesso conoscono molto bene le loro montagne, ma, fatte le dovute eccezioni, non hanno un alto livello tecnico e una grande esperienza di sci e di soccorso. Terzo, portatevi degli sci belli larghi e leggeri. Si sale sempre con le pelli e ci vogliono almeno 115 cm sotto il piede per non affondare nel soffice manto bianco della powder kyrgyza.
Il seguito dell’avventura? «Stiamo lavorando a una spedizione in Montenegro e Kossovo con le stesse modalità e obiettivi» dice Olaf.
E noi saremo pronti a raccontarvela. Stay in touch!
Kyrgyzstan-Caresio-SCI324 (pdf - 5.3 MiB)
—