Trovo incredibile come chi scrive o esprime pubblicamente la propria opinione tenda, più o meno esplicitamente, a schierarsi come paladino di una fazione o di quella opposta, quando si sa bene che ogni posizione contiene quasi sempre una parte di verità. Il coronavirus non fa eccezione.
Schierarsi sarà una forma di scaramanzia, un rituale per mettere a tacere l’altra parte di noi che si schiererebbe altrimenti, o per mettersi l’anima in pace.
Vi svelo però un piccolo segreto che mi sembra di aver imparato negli anni e che è più spesso patrimonio dei molti che sovente, non a caso, sposano il silenzio: non è sempre utile e necessario schierarsi.
Specialmente quando la situazione non lo richiede e si ha la possibilità – emotiva e mentale – di tenere una posizione equilibrata senza sparare su nessuna fazione, che sia dentro o fuori di noi.
La questione del coronavirus a mio parere è seria e va compresa.
Il problema principale sono i numeri dei contagiati, che potrebbero essere in grado di paralizzare il nostro Sistema Sanitario Nazionale, e non solo, se tutti ci ammaliamo insieme.
In Italia siamo circa 60.000.000, più o meno come nella provincia cinese di Hubei dove vivono circa 58.000.000 di persone.
Sicuramente la nostra situazione geografica e le nostre abitudini sono diverse… ma forse nemmeno troppo nell’epoca “globale”.
Ad oggi nella provincia di Hubei si contano circa 67.000 contagi (1), ovvero circa lo 0,115% della popolazione totale, nonostante le imponenti misure prese per arginare, appunto, i contagi.
Se anche da noi il virus interessasse lo 0,115% della popolazione, significherebbe avere più o meno 70.000 contagiati, di cui stando alle statistiche generali un 15% di gravi, ovvero circa 10.500 persone.
Se anche solo il 20-30% dei gravi necessitasse di respirazione assistita, significherebbe 2-3.000 persone da assistere a fronte di 5.090 posti totali di terapia intensiva (2) in tutto il Paese, che devono sostenere i malati di tutte le patologie e il post-operatorio.
Se quindi quella percentuale molto piccola di contagiati sugli abitanti dovesse crescere diciamo di 2-3 volte passando allo 0,2-0,3% gestire il problema sarebbe molto arduo.
Non è il mio mestiere costruire scenari e non ho a disposizione statistiche accurate, però mi pare che queste semplici riflessioni con numeri a disposizione di tutti, siano sufficienti a giustificare il fatto che lo sforzo di contenere il virus sia assolutamente imprescindibile.
Con questo sottolineo come sia altrettanto imprescindibile non diffondere allarmismi eccessivi che fomentino paura e reazioni non equilibrate ad essa legate.
Non possiamo chiuderci tutti in casa perché significherebbe portare, non solo il sistema sanitario, ma tutta l’Italia, a una paralisi in tempi ancora più rapidi e in modo irresponsabile.
È altrettanto inutile e dannosa però la posizione di sminuire l’importanza o addirittura deridere chi prenda precauzioni e cautele per contribuire a un sacrosanto sforzo collettivo per contenere il virus.
Io credo che ci si debba attenere alle decisioni collettive regionali e nazionali, perché solo uno sforzo di tutti può minimizzare la gravità della situazione.
Chi non ha sintomi al di fuori delle zone rosse, ritengo quindi debba ritornare ad una vita “normale”, applicando con attenzione tutte le possibili cautele per non ammalarsi (secondo l’aggiornamento in fondo, credo comunque si debba modificare radicalmente i nostri comportamenti viste le ultime notizie e come sta evolvendo la situazione).
Qualche rinuncia e un po’ di austerity non fa male a nessuno, anzi saranno l’occasione di ridurre il tanto superfluo che la nostra economia ahimè è talvolta la prima a fomentare.
Chi presenta sintomi influenzali, sia nelle zone rosse che al di fuori di esse, ritengo invece debba applicare il principio di precauzione e fare tutto il possibile per non trasmetterli agli altri, nonché stare a riposo per non aggravare, in ogni caso, la sua situazione. Nel caso debba venire a contatto con altri la tanto, da un lato abusata e dall’altro biasimata e derisa, mascherina potrebbe davvero non essere una cattiva idea.
Evitiamo inoltre di parlare senza rispetto dei decessi degli anziani o di chi è già debole per un altro problema di salute, come se le loro morti fossero meno gravi di altre.
Dovremmo provare vergogna nel trovare un simile ignobile conforto, dimostrando un pensare discriminatorio ben lontano dalla comprensione della ricchezza che risiede in ogni individuo e nell’esperienza dell’età avanzata.
La posta è davvero alta: è in gioco la nostra capacità di stare l’uno dalla parte dell’altro al di là delle differenze, di essere o meno una collettività.
Esattamente come lo è su altri problemi di scala globale, dal cambio del clima, all’inquinamento dell’aria.
Finora non abbiamo mostrato grande maturità in tal senso, forse è proprio questa l’occasione giusta.
Purtroppo la politica e l’economia sono spesso lontane dal chiarire e mettere in primo piano questa sfida, lontane dal fornire esempi virtuosi e dimostrare buon senso e responsabilità.
La speranza ancora una volta ricade sulla somma degli sforzi della gente comune, e noi in Italia, tante volte abbiamo dato segno di una capacità solidale al di là di ogni aspettativa.
È tempo di dar voce nuovamente e in modo più forte che mai a queste doti.
Torino, 2 marzo 2020
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Aggiornamento:
Secondo l’evoluzione della situazione, come suggerito dall’Unità di Crisi della Protezione Civile della Regione Piemonte e dai virologi dell’Amedeo di Savoia, credo sia indispensabile, anche a Torino, cambiare radicalmente i nostri comportamenti per superare questa fase difficile e limitare al minimo stretto necessario le uscite e i contatti con gli altri.
Curiamo l’umore, lavoriamo in remoto per quanto possibile e guardiamoci qualche buon vecchio film di Jacques Tati.
Torino, 5 marzo 2020
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#iorestoacasa
Torino, 7 marzo 2020
Fonti
(1) Coronavirus COVID-19 Global Cases by Johns Hopkins CSSE
(2) Il fatto quotidiano, la Repubblica,