(pubblicato su ALP280 Speciale Futuro – aprile 2012)
di Anna Berra
Fra i tanti valori che la montagna mi suggerisce, quello che più sento vicino è senza dubbio la Leggerezza. L’aria che si respira in alta quota è pura, inebriante. Camminando la mente si snebbia, si rallegra, si libera. Ma in che modo questo concetto così fecondo può aiutarci nel futuro che ci viene incontro? Diventare leggeri… trasformare il cammino in un’energica e vaporosa danza di rinnovamento. Non sono certo la prima a pensare questo legame. Vibra potente la voce del più lirico pensatore della nostra epoca, Friedrich Nietzsche.
«Chi vuole imparare un giorno a volare, deve prima di tutto imparare a stare e andare e camminare e arrampicarsi e danzare: – il volo non s’impara a volo!»
Queste le sue parole nel Così parlò Zarathustra – Un libro per tutti e per nessuno, un’opera per chi ama le vette, soprattutto le più ardite, quelle dello spirito. Non a caso l’idea dello Zarathustra gli è apparsa in alta Engadina, a Sils-Maria: “6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo”. E la casa in cui alloggiava è oggi trasformata in museo e pensione, suggestivo nido per un’immersione nella natura svizzera e nei funambolismi del filosofo.
Nietzsche amava la montagna, ne amava oltre allo splendore la grandiosa possibilità della sfida.
«Chi sale sulle vette dei monti più alti, ride di tutte le tragedie, finte e vere».
La Leggerezza, il Riso, la Danza – temi dominanti nello Zarathustra – compongono una ragnatela impalpabile eppure solidissima che sorregge il fiammeggiante enigma dell’opera.
«E anche a me, che voglio bene alla vita, pare che tutti quanti fra gli uomini abbiano della farfalla e della bolla di sapone, sappiano meglio di tutti che cos’è la felicità. […] Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare. […] Adesso sono lieve, adesso io volo, adesso vedo al di sotto di me, adesso è un dio a danzare, se io danzo».
I nostri piedi poggiano su strade di cui a volte non riusciamo a percepire la bellezza che, più riconoscibile tra rocce laghi e cime innevate, sfugge e diventa impercettibile nel quotidiano. Ma proprio a questa dimensione vale la pena dare la scalata. Nietzsche ce lo confida tra mille metafore e paradossi. Perché è la parola poetica che riesce a esprimere meglio l’indicibile.
«Sì, per il gioco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì».
Dire sì alla vita, all’ascesa delle vette, significa distruggere e ricostruire se stessi, un cammino impervio e gioioso.
«Ma chi vuol divenire leggero e un uccello, non può non amare se stesso […] Imparare ad amare se stessi è […] di tutte le arti, la più sottile, la più ingegnosa, lontana e paziente.
Ciò che uno ha è, proprio per chi lo ha, molto ben nascosto; e tra tutte le miniere la propria è quella che viene scavata per ultima, – e questo è opera dello spirito di gravità».
Lo Spirito di Gravità, il grande nemico degli uomini, lo uccidiamo con la leggerezza del Riso.
E Leggeri sono ancora gli incontri di Zarathustra con i suoi amati animali, l’aquila, il serpente, e più tardi il leone, “maliziosi burloni e organetti cantastorie”, fondamentali perché gli annunceranno la grande intuizione: “tu sei il maestro dell’eterno ritorno”.
Ma appare nel finale del libro un altro animale, da sempre sminuito, diffamato, sbeffeggiato: l’asino. Sulla montagna, nella grotta dove dimora Zarathustra, i seguaci del maestro fanno festa, e si narra che con loro anche il mite asino abbia volteggiato ebbro.
L’immagine è potente, e me ne evoca un’altra molto più popolare, legata all’infanzia e al gioco, a un dito indice che si solleva per accompagnare frasi sempre più ritmiche, che ti fanno sbagliare e ammettere che… l’asinovoola.
Ora lo riesco a scorgere, dolcissimo, danzare felice e ubriaco, e pian pianino innalzarsi in volo, fino a posarsi sulla chioma di un albero e guardarci sorridergli.
«Colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini […] darà un nuovo nome alla terra, battezzandola “la leggera”».
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Anna Berra
Scrittrice e giornalista. Collaboratrice storica de La Stampa ha esordito nella narrativa con il romanzo L’ultima ceretta (ed. Garzanti – terza riedizione) e pubblicato una raccolta di racconti noir: Piume di Sangue (ed Casaccia). Ama Nietzsche e la danza e non può fare a meno di collezionare versioni di Alice nel paese delle meraviglie.
Sara Li Gregni
Classe 1980, si specializza a Firenze in restauro di affreschi. Poi, alla continua ricerca dell’essenziale, entra nel tunnel della grafite. Solo un foglio e una matita.