(pubblicata su ALP280 Speciale Futuro – aprile 2012)
intervista di Giulio Caresio
Incontrare Xavier de Le Rue è stata una piccola impresa, tra e-mail reciprocamente mancate, conversazioni traballanti via Skype, improbabili connessioni telefoniche e svariate registrazioni vocali. Così quando ci siamo guardati negli occhi le sue prime parole sono state “sorry, it was a little bit difficult” e l’impressione è stata quella di conoscersi da tempo.
Nel suo mondo Xavier è davvero una superstar, il punto di riferimento universalmente riconosciuto.
Da una decina di anni è colui che sposta l’asticella delle possibilità dello snowboard sempre più in alto, in terreni su cui sinceramente sembra impossibile pensare di portare una tavola da snow.
Ne è un esempio l’incredibile linea tirata da Xavier nella passata stagione sul ghiaccio vivo e verticale del Couloir Copt (tra le Aiguilles Dorées nel Massiccio Dolent-Argentière-Trient che si trova sul confine svizzero a Nord-Est del Monte Bianco). Qualcosa di davvero mai visto prima.
Allo stesso tempo è un ragazzo semplice e solare, che quando ha saputo di questo progetto speciale l’ha sposato con entusiasmo, felice di vedersi e raccontarsi accanto a climbers e alpinisti. Due mondi cui Xavier cui si sente particolarmente vicino, dal momento che i suoi progetti richiedono una capacità di muoversi in montagna a 360°.
A lui la parola.
Ci racconti la tua montagna…
È difficile da definire. Essere su una vetta bianca significa trovarsi nell’ambiente più imponente, più maestoso che si possa immaginare. La montagna d’inverno ha qualcosa di così potente che risulta differente da ogni altra cosa che io conosca. Essere immerso in questa energia ed essere in grado di giocare con essa è qualcosa che a me dà grandi sensazioni e ispirazioni.
Credo che ognuno di noi abbia il suo rapporto con le terre alte, che sia davvero qualcosa di molto personale, per cui posso dirvi ciò che sento io: una sorta di “intimidazione” che fa sì che il mio cervello non funzioni nel modo ordinario, così posso fare scelte diverse.
Cosa esattamente è diverso?
In montagna come snowboarder non devo pensare. Devo spegnere il cervello razionale e lasciare che l’ispirazione faccia il suo lavoro. Attenzione non sto parlando di irresponsabilità: l’emisfero razionale deve lavorare prima, ma è il cervello emozionale che deve prendere in mano la situazione quando sei in azione. Non puoi certo pensare razionalmente a tutti i movimenti da fare o ai rischi da considerare.
In questo senso c’è bisogno di una certa leggerezza nel fare, bisogna alleggerirsi del peso della ragione per riuscire.
In questo come si colloca la paura?
In montagna hai bisogno di aver paura: serve a essere presente, mettere a fuoco i rischi ed essere pronto a reagire se succede qualcosa. Devi trovare il giusto equilibrio, ma una “buona” paura è necessaria.
La cosa più difficile è saper giudicare con sicurezza cosa ti sta dicendo.
Per capirlo hai bisogno di mantenere la calma, sempre. Questa è la chiave.
Se sei con qualcuno è più semplice. Quando invece sei da solo è più facile finire in un trip in un senso o in quello opposto: provare una paura tale da lasciarti sopraffare e bloccare, oppure rilassarti a tal punto da non vedere più con chiarezza il rischio di ciò che fai.
Ed è così che hai messo a punto un tuo stile molto personale?
Il mio stile e le differenti capacità in montagna provengono da diversi background. Sono sempre rimasto concentrato sul costruire una preparazione a 360° nello snowboard: freestyle, alpine, boarder cross, ecc… così si è formato il mio modo molto polivalente di condurre la tavola.
Ancora più alla base, quando avevo diciotto anni, ho studiato arrampicata e alpinismo ed è in tale occasione che ho imparato tecniche e attenzioni per muovermi in modo sicuro in montagna.
Tuttavia ho trovato davvero il mio ride-style solo qualche anno fa, nel corso di un viaggio in Alaska e Canada che ha segnato un profondo cambiamento. Fino a quel momento ho cercato di fare più o meno quello che facevano tutti, in pratica copiavo. Ma, improvvisamente, in quel viaggio ho realizzato qualcosa di diverso: ho tracciato alcune linee così veloci e mi sono sentito così bene… si è aperta una nuova prospettiva. Era l’inizio di un nuovo Xavier sullo snowboard: avevo trovato il mio stile, la mia visione e mi sentivo al top, tutto sembrava migliore. Una vera rinascita.
È avvenuto tutto molto rapidamente in quel viaggio e non è stata una scelta cosciente.
Puoi spiegarci meglio il tuo rapporto con la velocità?
È proprio la velocità che fa la differenza. È incredibile la sensazione che provi quando raggiungi quella velocità oltre cui non puoi più accelerare, la velocità che ti permette praticamente di galleggiare sull’aria. Non hai più a che fare con il terreno, sei sulla soglia del volo. Tutto diventa più semplice, salti, acrobazie, curve… entri in uno stato mentale in cui hai una visione più chiara, le sensazioni cambiano e hai un maggior controllo. È difficile da spiegare a parole. Io lo chiamo videogame mode, perché l’impressione è di poter fare davvero ciò che desidero con la mia tavola, come in un videogame. È una specie di droga che adoro.
Poi c’è un altro aspetto legato alla velocità, come spiego nel film This is my winter: il fatto che sono molto spaventato dal rischio delle valanghe. Se sono sufficientemente veloce posso reagire, posso scappare, mettere meno pressione sulla neve… mi sento e mi trovo bene in questo modo.
C’è chi pensa che la velocità sia qualcosa da evitare in montagna… cosa diresti a queste persone?
Che prima pesavo esattamente come loro ed è questa la ragione per cui copiavo tutti gli altri. Ma quando ho scoperto la sensazione di cui vi parlavo, tutto è cambiato.
Credo sia giusto che ognuno abbia la sua visione in merito. Io sono così sicuro della mia e so che se non la seguissi tradirei qualcosa e non mi divertirei, perlomeno non così tanto.
Ovviamente mi capita talvolta di andare piano, se e quando ne ho il piacere.
La pratica dello snowboard per me riassume diversi scopi e intenzioni, tuttavia mi piace spingermi oltre, progredire. Ognuno ha i suoi obiettivi. Raggiungerli significa sempre spostare qualcosa un po’ più in là. Il mio modo di spostare le cose è andare veloce.
Guardando questi anni si ha davvero l’impressione che tu non sia mai stato fermo. Oggi quali sono i tuoi progetti?
Ora facciamo film 😉 Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di potermi spingere dove volevo, esplorare liberamente. Ho raggiunto quella posizione privilegiata in cui posso scegliere, provare e cercare nuove cose. Il progetto Timeline, grazie a cui abbiamo realizzato il mio ultimo film, è nato per raccontare magia e intensità dei momenti più significativi di una stagione e si è perfettamente adattato alla prospettiva di esplorazione.
Per me è molto importante, perché fare ciò che fanno tutti, sciare linee come ho fatto per gli ultimi 10 – 15 anni, è qualcosa che trovo noioso. Mettersi in gioco, mi mantiene motivato: se non faccio nulla di nuovo mi pare che il rischio che prendo non sia “appropriato”… se capite cosa voglio dire.
Cosa cerca Xavier in una stagione come quella passata?
Guardando le foto e i video, non solo dell’ultima stagione, probabilmente la gente pensa che abbia sempre trovato neve perfetta in giornate perfette. Nella realtà sono poche le giornate così. L’anno scorso per esempio le condizioni non erano certo al top, in Europa c’era pochissima neve… il che può rivelarsi deludente o stressante.
Però poi arriva il giorno in cui la neve è perfetta, ti senti a tuo agio tra le montagne, senti la tua tavola come vorresti e allora puoi davvero fare ciò che vuoi in discesa. Nelle linee che tracci ritrovi quella velocità, quella sensazione, e pensi “WOW, questa è la ragione per cui faccio quello che faccio”.
Credo non si possa spiegare, solo vivere.
Quali sono i valori più importanti che hai imparato dall’esperienza in montagna?
Quando giochi un po’ con il limite e ti trovi immerso in ambienti selvaggi, possenti e pericolosi, quelli che impari davvero in fretta sono rispetto e umiltà.
Credo che in montagna si debba ammirare tutto ciò che ci circonda, essere felici di trovarsi lì, ma nel contempo è necessario rimanere focalizzati su ciò che accade intorno a noi, essere presenti a ciò che stiamo facendo. Se siamo troppo fiduciosi nei nostri mezzi ho l’impressione che stiamo dimenticando di ascoltare i segnali della montagna: sono quelli i momenti in cui siamo davvero in grande pericolo.
Ricordo, quando ero più giovane, di aver vissuto un paio di esperienze che mi hanno fatto diventare più “pauroso”, attento e sensibile cercando di mantenere uno stato ricettivo. Non è forse il modo più spensierato per godersi pienamente la montagna, perché mantieni sempre un certo occhio vigile, ma credo che sia il modo di rimanere vivi.
Il percorso o la meta? Quale dei due prevale nella tua azione?
In montagna le persone tendono molto a focalizzarsi sull’obiettivo. Un mio grande sforzo è proprio creare un ponte tra la mentalità classica e scialpinistica che si concentra maggiormente sulla meta da raggiungere, e la visione dello snowboarder che è più ludica, volta a godersi le curve, i salti e quindi più attenta al percorso.
Mi piace cercare di metter insieme queste visioni piuttosto che metterle in competizione: credo che in entrambe risiedano aspetti interessanti. Nella vita bisogna essere aperti e trovare equilibri. Anche il futuro e l’evoluzione del freeride di gioca sul conciliare tecnica e performance con la visione più artistica, poetica e disincantata.
A proposito di arte, qual è il tuo rapporto con la musica?
Mi piace molto ascoltare musica se corro, se sto lavorando a qualcosa, o se cammino in montagna… diciamo fino a quando non entra in gioco un fattore rischio elevato in ciò che sto facendo.
In tal caso nessuna musica, preferisco avere a disposizione tutti i miei sensi. Desidero sentire se parte una frana o si stacca una slavina, essere ricettivo se qualcuno grida per segnalarmi un pericolo… tutti i sensi sono molto importanti, sia per prevedere i pericoli, che per godere appieno dell’esperienza in quota.
Per il resto amo la musica, non sound troppo aggressivi: dovessi individuare un mio genere direi “happy dancing music”.
Quali sogni nel cassetto per il tuo futuro e quello del Pianeta?
Io funziono soprattutto “a ispirazione”. Prima ero molto motivato per le gare, ora ho una motivazione più grande per il progetto Timeline e la realizzazione dei film.
Ho alcuni viaggi che davvero mi fanno sognare: li tengo nel cassetto da tanti anni e me li immagino molto cool 🙂 Non voglio parlarne troppo, ma penso li realizzerò. E credo che già questo sia un risultato.
Se guardo le prospettive su una scala più grande, trovo che ciò che faccio sia un po’ fine a se stesso.
Viaggio intorno al mondo per godermi lo snowboard. Qualche volta mi pare bello riuscire a portare a casa delle immagini che siano di ispirazione per gli altri, talvolta invece ho la sensazione che divertirsi scendendo le montagne con un legno ai piedi sia proprio qualcosa di fine a se stesso.
Sicuramente non amo il fatto di consumare molta energia e carburante per gli spostamenti e, in tal senso, non ritengo davvero di essere il migliore degli esempi di rispetto del Pianeta.
La verità è che dovremmo davvero cambiare tutti radicalmente, rinunciare a molte delle cose che facciamo. È un casino ed è davvero un grande punto interrogativo…
Un desiderio, un messaggio al mondo da parte di Xavier?
Mi piacerebbe che il maggior numero possibile di persone avessero la possibilità di vedere le montagne per quello che davvero possono dare. Il che significa andare oltre una visione limitata di breve piacere, per sperimentare tutto ciò che le terre alte possono portare alla crescita di ognuno… in termini di personalità, visione del mondo, rispetto del Pianeta e delle sue esigenze.
Credo che se un pubblico più vasto riuscisse ad avvicinarsi alla natura, a godere dei grandi momenti che offre, a mettersi nell’ottica di capire la complessità dell’ambiente, avremmo maggior rispetto per questa Terra. Ma ancora una volta non mi sento la persona più adatta per parlare di questi argomenti.
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Frasi da ricordare di Xavier de Le Rue
«L’emisfero razionale deve lavorare prima, ma è il cervello emozionale che deve prendere in mano la situazione quando sei in azione»
«In montagna hai bisogno della paura per mettere a fuoco i rischi ed essere pronto a reagire se succede qualcosa. Ma per capire cosa ti sta dicendo la paura ha bisogno di mantenere la calma»
«Quando raggiungi quella velocità oltre cui non puoi più accelerare, non hai più a che fare con il terreno, sei sulla soglia del volo e tutto diventa più semplice: salti, acrobazie, curve… Io lo chiamo videogame mode»
«Quando giochi un po’ con il limite e ti trovi immerso in ambienti selvaggi, possenti e pericolosi, i valori che impari davvero in fretta sono rispetto e umiltà»
« Un mio grande sforzo è creare un ponte tra la mentalità classica e scialpinistica che si concentra maggiormente sulla meta da raggiungere, e la visione dello snowboarder che è più ludica, volta a godersi le curve, i salti, e quindi più attenta al percorso»
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Xavier de Le Rue in short / le sue preferenze
Luogo: Antartide
Montagna: Massiccio del Monte Bianco
Libro: Let my people go surfing di Yvon Chouinard
Film: Nikita di Luc Besson
Cucina: giapponese e italiana (in Italia).
La più grande paura? Perdere la fiducia nel future.
Come ti rilassi? Abbandonandomi sul divano dopo una folle giornata outdoor.
Cosa ti ispira? La natura, è vitale per la mia sanità mentale.
Motto: meglio provare e cadere che pensare di poterlo fare e non provarci.
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10 consigli di Xavier de Le Rue
1 > Non avere paura di chiedere
2 > Verifica sempre le condizioni prima di avventurarti in un’uscita di freeride
3.> Cerca di imparare le poche misure base di sicurezza (attrezzatura e tecnica)
4.> Non pensare mai di essere superiore a queste precauzioni
5.> Senti l’opinione di tutti, ma segui la tua visione e trova il tuo stile
6 > Divertiti
7.> Sii spaventato quando è necessario
8 > Guardati intorno e cerca di prevedere i pericoli che possono sorprenderti
9 > Presta attenzione a ogni particolare
10 > Non pensare di essere più forte della montagna
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TimeLine & This is my winter
Nato su spinta di Xavier come video blog per raccontare il davanti e il dietro le quinte della sua stagione invernale, TimeLine vede coinvolti quelli che sono un gruppo di amici, ma anche di professionisti eccezionali: il filmmaker Guido Perrini, il fotografo Tero Repo (le cui foto illustrano queste pagine) e il produttore Mathieu Giraud.
L’anno scorso, nella sua prima stagione di vita, il progetto ha già portato alla realizzazione di This is my winter un vero e proprio film di mezz’ora estremamente spettacolare. Se non l’avete ancora visto mettetevi comodi e non perdetevelo: lo trovate, per gentile concessione delle TimeLine nella versione integrale inglese sul nostro sito (www.alpmagazine.it/xavier-de-le-rue).
Non perdetevi anche gli episodi della Season 2!
Stay tuned > www.timelinemissions.com
ALP280 Caresio Xavier (pdf - 2.0 MiB)