(pubblicato su ALP280 Speciale Futuro – aprile 2012)
musica e testi di Nicolas Favresse
traduzione e arrangiamenti di Giulio Caresio
La vittoria nel parco di Buchs
Tutto è iniziato sulla panchina di un parco in Svizzera. Era una giornata di riposo obbligato per le dita sfasciate dalle mie prime grandi vie, nella catena del Ratikon. Dopo aver effettuato tutte le operazioni di riordino degne di una tale giornata, che fare se non pensare al giorno successivo di arrampicata? Ma quella giornata sarebbe stata molto diversa. Per una qualche ragione che non ricordo più, ci siamo avviati con Sean Villanueva (il mio fedele compagno di cordata) verso il piccolo parco del villaggio di Buchs muniti delle mie due chitarre.
Sean non aveva mai suonato prima nonostante le sue origini irlandesi l’abbiano dotato di una voce da guerriero e di un ampio repertorio di canzoni di propaganda contro gli inglesi.
Quanto a me, i miei genitori mi hanno fatto scoprire la chitarra all’età di 10 anni. Di sicuro non sapevano dove questo mi avrebbe portato 🙂 Appena installati sulla panchina Sean comincia a canticchiare una delle sue arie ed eccomi impegnato a seguirlo con qualche accordo di chitarra. Il parco era molto curato, tutto in ordine perfetto secondo consuetudine svizzera, e noi per contro completamente caotici e deliranti, con la nostra musica accompagnata da parole improvvisate per descrivere le vicissitudini sulle nostre prime grandi salite.
Di emozioni ne avevamo avute da vendere. Poiché non avevamo alcuna esperienza di scalata delle grandi pareti e non volevamo renderci ridicoli chiedendo troppi consigli, ci siamo buttati direttamente con audacia sulle vie più difficili. Ogni giorno vivevamo le nostre più grandi emozioni, con peripezie varie e avventure da cui potevamo essere ben felici di uscire indenni. Ora lo riconosco, eravamo completamente incoscienti, ma nello stesso tempo è questa incoscienza che mi ha fatto vivere momenti così forti e ci ha permesso di saltare qualche tappa nell’apprendimento della scalata delle grandi vie. Ed era proprio a questa audacia e incoscienza cui pian piano prendevo gusto.
Nella nostra musica, erano tutte queste emozioni a emergere con forza ed ecco che nel parco si propagava così il nostro caos musicale… Nonostante le note stonate, nulla ci metteva a disagio. La gente passava ridendo, qualcuno ci ignorava, ogni tanto era bello osservare piccoli movimenti dei corpi che seguivano il nostro ritmo… fin quando una persona si è precipitata verso di noi e ha iniziato a parlarci in tedesco con tono innervosito.
Non capendo il tedesco, non abbiamo capito nulla se non “Polizei”. Mmm… abbiamo rapidamente intuito che era meglio sospendere la nostra sessione musicale prima dell’arrivo della polizia. È vero che ci eravamo ben lasciati andare, ma ciò non toglie che quell’uomo avrebbe potuto rivolgersi a noi con un tono un po’ più simpatico. Nel momento in cui stavamo ritirando gli strumenti è sopraggiunta una seconda persona altrettanto alterata della prima, ma per il motivo opposto: voleva continuassimo a suonare. Così abbiamo assistito a un duello di urla in tedesco, con tanto di visi paonazzi, altre minacce di “Polizei” e insulti vari… almeno è ciò che abbiamo immaginato da spettatori.
Dieci minuti più tardi fu la nostra musica a essere rivalutata e monsieur Polizei ad andarsene con le pive nel sacco, brontolando dans sa barbe. Direi che questa vittoria nel parco di Buchs è stato un vero battesimo del nostro talento musicale rendendolo indissolubile dalle future avventure verticali. Saremmo tornati a casa da Ratikon con un buon bottino di vie ripetute e di memorabili avventure, ma soprattutto molto fieri per questo piccolo felice incidente musicale.
Il pifferario e la fuga dell’orso
Ben soddisfatti delle nostre avventure in Svizzera, non avevamo che un desiderio: scoprine di più, sia in campo musicale che verticale. Dopo il Ratikon il passaggio obbligato della nostra evoluzione accelerata non poteva che essere Yosemite, la Mecca dei big wall e della scalata trad, questa volta con l’aggiunta di un piccolo flauto che Sean aveva portato dall’Irlanda. Ero totalmente galvanizzato da questa nuova acquisizione, ma presto ho dovuto ricredermi e pentirmene perché Sean non aveva alcun orecchio musicale e con la sua proverbiale determinazione a imparare, costi quel che costi, partoriva soffiando nel piccolo strumento musicale atroci suoni dissonanti, capaci di far fuggire gli orsi. Non è un caso che in quel viaggio non se ne sia vista neppure l’ombra!
Cercavo comunque di fare il più possibile come se nulla fosse, per non tarpare la motivazione di Sean perché potesse imparare il più rapidamente possibile. I primi passi con uno strumento musicale sono decisivi, per cui ritenevo fosse importante rispettare il suo entusiasmo. Era una sorta di investimento per il nostro futuro.
Appena arrivati a Yosemite, abbiamo rapidamente consultato i gradi delle vie per giudicare le nostre possibilità. È così che attacchiamo la nostra prima via, Rostrum, quasi delusi dalla prospettiva di una salita così semplice… 6c! Il livello in cui abbiamo l’abitudine di fare riscaldamento, ma la gente ci prende per pazzi vedendo che ci lanciamo in una via così difficile senza conoscerla. Ma fin dal primo tiro quotato 5.9 (intorno a 5c), mi rendo conto che qui sia la scalata che i gradi non hanno niente a che vedere a ciò a cui ero abituato.
Per avanzare in questa fessura, sono obbligato a compiere uno sforzo per dimenticare tutti i riferimenti cui sono abituato e lanciarmi nell’ignoto. La sola tecnica che trovo è fare forza come per dilatare la fessura, come se tentassi di entrare all’interno della montagna. E per i piedi, niente! Solo tentativi di aderenza su un granito liscio come le chiappe di un bebè. Tiravo come un mulo tanto più che erano le mie prime esperienze di incastro e che non avevo nessuna voglia di fare un test di caduta.
Ego e nuove ispirazioni
Nell’arrampicata sportiva, come quella cui ero abituato, c’è un livello sotto il quale mi sentivo molto tranquillo anche se i punti (rinvii) erano molto lontani uno dall’altro. Ma qui in fessura, anche in tiri quotati come facili, ho l’impressione di poter cadere a ogni piè sospinto! Capirò rapidamente che lo Yosemite è un mondo a parte che bisogna avvicinare con occhi da esordiente. Bisogna lasciare il proprio ego a casa e accettare di ripartire da zero per poter ricavare il massimo da ogni esperienza.
È esattamente come in musica, ogni stile ha le sue tecniche e i propri ritmi. In generale il miglior modo per avvicinarli è cercare di dimenticare tutto ciò che conosciamo per assorbire meglio ciò che viene dalle nuove esperienze. È questo anche il motivo per cui mi interesso sempre a nuovi strumenti musicali sui quali all’inizio non ho alcun riferimento per “ritrovarmi”. È in questo stato vergine che il nostro istinto arriva a esprimersi nel modo più puro! Poi, quando torno alla mia normale chitarra, come per miracolo, mi si aprono nuove porte e posso rompere la monotonia con nuove ispirazioni!
Jamming evolution
Il primo strumento che ha attirato la mia attenzione è stato il djarango. È una piccola chitarra sudamericana a dieci corde. Rispetto a una chitarra normale è molto più leggera e compatta, quindi ideale per le mie spedizioni. Nei miei viaggi che siano spedizioni o semplici vacanze da “uomo qualunque”, quasi sempre esistono tempi morti dove uno strumento di musica vien bene. Inoltre spesso ci si trova davanti a nuove esperienze che creano uno stato d’ispirazione propizio all’esplorazione musicale. È con questa piccola chitarra che è iniziato tutto nel parco di Buchs con l’episodio decisivo che vi ho raccontato. Poi lo Yosemite ci ha aperto gli occhi al jamming sia per l’arrampicata che per la musica.
In arrampicata fare un jam significa incastrare le proprie mani in una fessura.
In musica significa invece suonare insieme ad altri musicisti senza seguire una melodia in particolare. Uno attacca, gli altri lo seguono e la struttura della musica si crea in funzione dell’ispirazione del momento e della dinamicità dei musicisti.
Nelle vie all’inizio non capivo proprio come incastrare le mani. Le infilavo perfettamente nella roccia, seguivo un’idea precisa, ma niente. Ancora oggi che ho una buona esperienza di jam è talvolta difficile capire perché io ci riesca meglio. È una sensazione che si deve trovare, bisogna soprattutto aprire il proprio spirito per essere disponibili a individuarla. Una jam session musicale richiede la medesima sensibilità. Spesso incontro musicisti che hanno una grande perizia e profonde conoscenze musicali, ma quando si tratta di accendere una jam session, la corrente non passa, l’energia cercata non si riesce a creare, come se la conoscenza avesse creato delle mura dietro cui è confortevole proteggersi. Di conseguenza per “sentire” bisogna osare rendersi vulnerabili, mettersi in situazioni dove tutto è discutibile, o dove ogni riferimento scompare. È anche per questo che amo partire in capo al mondo e mettermi di fronte a grandi sfide personali. La realtà del tran tran quotidiano della vita è messa da parte per ritrovarsi soli in modo puro davanti a tante domande cui cercare risposta. E le risposte arrivano puntualmente e mi permettono di assumere una prospettiva più ampia sulla mia vita e i valori che mi sembrano più importanti. Ogni spedizione è per me prima di tutto questa personale ricerca interiore: più l’avventura è grande e completa, grazie alla combinazione di un gran numero di elementi, e più è ricca questa ricerca. Dopo lo Yosemite, l’evoluzione della nostra esperienza ci ha portati in Patagonia, poi in Pakistan, in terra di Baffin, in Groenlandia… e in questo momento mentre leggete in Venezuela. Un percorso che segue un’evoluzione sia a livello dell’arrampicata e della sua etica che a livello della ricerca personale.
Amo affrontare una scalata esattamente come una jam session musicale lasciando il massimo margine perché mi possa adattare in funzione delle sensazioni che provo. Se vado in un luogo in spedizione, per esempio, abitualmente preferisco evitare di cercare troppe informazioni o di guardare le fotografie del posto per non influenzare il mio sguardo quando avrò modo di scoprire le pareti con i miei occhi. L’impressione del primo sguardo è molto importante per me. Bisogna che sia influenzato al minimo dalle conoscenze teoriche.
Anche se vedo una linea che mi attira, evito di guardarla troppo con il cannocchiale o di ascoltare ciò che dice la gente intorno a me, per evitare di crearmi pregiudizi su quella salita. Tramite l’esperienza, so che bisogna dare molta importanza alle emozioni e conservare una certa distanza dal nostro lato razionale. Molte cose sono impossibili da vedere anche con il cannocchiale. Sovente, inoltre, se qualcuno c’è già stato e non ha visto niente, non è detto che gli altri ugualmente non vedranno nulla. Ma non sempre è facile e scontato seguire il proprio istinto, soprattutto quando la razionalità vi si oppone con forza. Tuttavia credo che sia questa la chiave per fare le ascensioni più belle e difficili restando in vita.
Istinto, pace interiore e musica
In due occasioni sono scampato per un pelo a un incidente fatale. Ho avuto la fortuna di uscirne indenne e di poter analizzare queste esperienze per ricavarne delle lezioni e migliorare il mio approccio alla montagna, sperando che ciò non si ripeta più. Penso che si debba sempre seguire il proprio istinto. Talvolta però è difficile far valere di fronte agli altri il lato illogico dell’istinto. Sovente è mal inteso, come esagerazione, ma bisogna tenere duro.
Dopo Ratikon e Yosemite il djarango mi ha seguito in Patagonia e nella Valle del Charakusa in Pakistan. Ha salito in tutto cinque big wall per un totale di trentasei giorni in portalegde! Sfortunatamente in Pakistan, la sua cassa armonica in un trasporto si è fessurata e il suono è diventato un po’ troppo funky. Abbiamo cercato di ripararla ma la cosa si è rivelata impossibile. È stato commovente: con questo strumento avevo fatto i miei primi jam in parete su El Capitan in Yosemite. Là in alto, sospesi su un portaledge dopo una lunga giornata di arrampicata estenuante e piena di emozioni, è stata davvero una sensazione incredibile lasciar andare le dita su uno strumento musicale. Potreste pensare che sia solo per il delirio che lo facciamo… ed è vero che in parte sia stato così. Ma in realtà non è così, là in alto è incredibile l’ispirazione che si può trovare! È proprio un’esperienza musicale unica. È questo il motivo per cui dopo quella prima esperienza in Yosemite, porto sempre con me uno strumento musicale, anche in big wall. Anche se sovente ciò complica le manovre, non mi sono mai pentito, anzi. Penso che sia per me un grande aiuto quando mi ritrovo su queste immense pareti. Spesso davanti alle difficoltà più ardue il nostro spirito si impressiona perdendo la capacità di ritrovare la calma e la pace interiore, un fatto che può rapidamente risultare soffocante quando si tratta di big wall che si salgono in più giorni. Con uno strumento musicale è sufficiente suonare qualche nota perché il nostro spirito fugga dalla parete e con lui possano evadere tutte le nostre tensioni. Inoltre permette di relativizzare tutto ciò che facciamo e ricordarsi che la cosa più importante è essere immersi in questo magnifico scenario naturale e di goderlo pienamente.
Dal djarango al mandolino e l’ensemble si consolida
Nel corso delle spedizioni Sean è diventato sempre più bravo a suonare il flauto e si è rapidamente definito un piccolo repertorio musicale che ci ha permesso di ravvivare alcuni campi base. Un luogo dove sovente chi arrampica è teso per il pensiero dell’ascesa che lo attende il giorno successivo, ma…. è straordinario come basti un po’ di musica per rilassarsi. Davvero magico!
Per rimpiazzare il mio djarango che si è fessurato, mi avevano consigliato un negozio di musica a San Francisco specializzato in tutti gli strumenti a corde. È qui che ho scoperto il mandolino. Pur non avendo alcuna conoscenza di questo strumento, ho sentito immediatamente che era ciò che ci voleva per aprirmi a nuovi orizzonti musicali. Pizzicando le corde per la prima volta mi vedevo già su un portaledge o in un cantuccio davanti a un falò! Da allora quel mandolino è diventato il mio più fedele compagno. Anche mio fratello Olivier non ci ha messo molto a riprendere in mano la fisarmonica che aveva imparato da adolescente. Da allora, in ogni spedizione, con un flauto, una fisarmonica e un mandolino streghiamo le pareti con i nostri jam indiavolati. I big wall e la musica sono diventati per noi un’inscindibile combinazione tanto magica quanto strategica 🙂
In sostanza per me affrontare il verticale come una jam session musicale significa vivere una vita semplice senza troppe sovrastrutture dove l’arrampicata è il filo conduttore per rimanere in armonia con la natura e con me stesso. Ci sono dei momenti forti, ma anche dei punti deboli, perché con poche strutture tutto può cambiare molto rapidamente, e quando tutto “cola a picco”, come talvolta accade scalando big wall, è allora che la musica mostra tutta la sua magia.
Frasi da ricordare
«Poiché non avevamo alcuna esperienza di scalata delle grandi pareti e non volevamo renderci ridicoli chiedendo troppi consigli, ci siamo buttati direttamente con audacia sulle vie più difficili».
«Sean non aveva alcun orecchio musicale e partoriva, soffiando nel piccolo flauto con proverbiale determinazione, atroci suoni dissonanti, capaci di far fuggire gli orsi».
«Bisogna lasciare il proprio ego a casa e accettare di ripartire da zero per poter ricavare il massimo da ogni esperienza».
«Per “sentire” bisogna osare rendersi vulnerabili, mettersi in situazioni dove tutto è discutibile, o dove ogni riferimento scompare».
«Quando tutto “cola a picco”, come talvolta accade scalando big wall, è allora che la musica mostra tutta la sua magia».
ALP280 Caresio FavresseJam (pdf - 3.2 MiB)